Recensione de Le nuove eroidi – Maria Vittoria Vittori

Ilaria Bernardini / Caterina Bonvicini / Teresa Ciabatti / Antonella Lattanzi / Michela Murgia / Valeria Parrella / Veronica Raimo / Chiara Valerio

Le nuove eroidi, HarperCollins Milano 2019
202 pagine, 17.50 euro

Da grande appassionata di mitologia fin dai banchi di scuola elementare, ho sempre pensato che il mito fosse una sorta di bomba, un concentrato di forze, sentimenti e ambiguità destinato a deflagrare più e più volte: e un’ulteriore conferma mi è venuta da un libro come Le nuove Eroidi, in cui otto delle scrittrici più rappresentative del nostro tempo si relazionano con Ovidio.

E se già Ovidio, nella sua opera, aveva compiuto
una sorta di rivoluzione copernicana, affidando 
alle donne il compito di raccontare, qui le scrittrici entrano liberamente nelle storie e nei miti reinventando, ognuna a suo modo, una nuova modalità di stare al mondo per ognuna di queste eroine, una sorta di rinascita nella contemporaneità. Contemporaneità vissuta nella pienezza e nella varietà delle sue dimensioni, a partire dall’esodo dei migranti: così tante volte visto e ripetuto, questo dramma, da non suscitare più alcun effetto su di noi, come se mente e cuore – il cuore di cui parla María Zambrano, vale a dire «uno spazio che si apre all’interno delle persone per accogliere certe realtà» – si fossero serrati.

E allora c’è chi, questo dramma ci scaraventa di peso, attraverso la storia di una Penelope dei nostri giorni che abbandona il suo ben remunerato lavoro di cuoca per imbarcarsi sull’Open Arms: storia che sembrerebbe inventata ma che è invece ispirata alla cronaca. Nelle pagine di Ilaria Bernardini Ero diventa una profuga, insieme al suo amato Leandro: finalmente uniti sì, ma per poco: il tempo di un viaggio allucinante, di un tentativo disperato di arrivare sulla terraferma dopo l’affondamento di un vecchio gommone: «ogni parola che hai detto, anche se l’hai detta bene, non è servita a metterci in salvo». Rimettere al mondo queste donne significa anche riattraversare emozioni, decisioni, paure sedimentate nel mito, con sguardi diversi. Magari capaci di mettere a nudo il groviglio di ambiguità che si acquatta dietro decisioni che sembrano scolpite nel marmo, come quella ragion di Stato invocata da Enea che rivela, allo sferzante sguardo della Didone made in Parrella, il timore di doversi confrontare con lei e con tutto ciò che rappresenta.

Le ragioni di Elena smontano le tante leggende incrostate nei secoli intorno alla guerra di Troia: è nel discorso rivolto a Paride, la notte prima della battaglia con Menelao, che la Elena di Michela Murgia ha modo di raccontare se stessa, le sue scelte e soprattutto il suo profondo irrevocabile disincanto: «come tutti gli amori vili anche il mio sarà fedele, Paride, perché per stare con te ho già tradito me stessa». Se sulla sensuale Deianira reinterpretata da Chiara Valerio esercitano uno speciale turbamento tutti i corpi – di uomo, di donna, di centauro -, in qualcuna di queste storie la sensualità e la passione acquistano riverberi di fortissima ambiguità derivanti dalla profonda trasformazione operata nella nostra modalità comunicative. Come accade nella storia di Laodamia che, secondo il mito, si era fatta costruire un calco del suo defunto marito per poter ancora giacere con lui; nella versione di Veronica Raimo il nucleo perturbante è costituito da una chat notturna tra lei e il suo amante che è già stato seppellito ma continua a vivere nella dimensione parallela dell’eros virtuale. E anche l’oscura profondi- tà del dolore, traghettata in tempi e luoghi diversi, trova approdi imprevisti. È davanti a un tribunale che viene portata Fedra, a testimoniare sul delitto commesso dal marito nei confronti del figlio Ippolito; ma solo lei conosce la verità – e la racconta, finalmente –, la verità del suo amore sbagliato che l’ha portata a una solitudine estrema e disperata. E la Medea di Teresa Ciabatti, nella dolorosa solitudine dell’abbandono, ha lasciato che da suo figlio Fabrizio sbocciasse Sofia, la donna luminosa e forte che lei non ha mai avuto il coraggio di essere fino in fondo.

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