L’ultima Emma – Anna Maria Crispino

L’ultima Emma – Anna Maria Crispino

Uscito in febbraio in Nuova Zelanda, Usa, Canada e Gran Bretagna, avrebbe dovuto esordire nelle sale italiane a giugno. Il perfido virus ha scombinato i programmi, tuttavia, si trova già in streaming su diverse piattaforme e vale davvero la pena di guardarlo l’ultimo – ennesimo – film tratto da Emma di Jane Austen. Titolo cui la regista Autumn de Wilde aggiunge un punto finale, forse per un vezzo che rimanda al frontespizio della prima edizione del romanzo (1815). O forse, autoironicamente, perché la considera una versione “definitiva”.

Senza pretese da critico cinematografico, ma con la passione dell’accanita Janeite (a “La magnifica Jane Austen” abbiamo dedicato il n.123/2017 di Leggendaria) ne consiglio la visione per più motivi anche a chi la storia la conosce bene. Innanzitutto, perché in tutta la prima parte è davvero un film divertente, che forza l’ironia di Austen in chiave assolutamente contemporanea pur restandole assai fedele. La regista – ai suoi esordi nel lungometraggio ma evidentemente forte delle sue abilità di fotografa e videomaker musicale – apparecchia, per così dire, la tavola con una serie di sequenze brevi che ci presentano il contesto e i personaggi. Il film parte con scelte irrituali per un “period drama”, come il nudo iniziale che mette subito in chiaro la corrente erotica che sin dall’inizio circola sotto traccia tra Emma e Mr. Knightly; o la memorabile discesa dalla scala di casa di un Mr Woodhouse che arriva in fondo all’ultimo gradino eseguendo un saltello, il che insinua qualche dubbio sulla precarietà della sua salute. Altre due scene nel corso del film hanno il sapore di sketches comici: le manovre dell’anziano gentiluomo sul “paravento” per proteggersi dagli spifferi, ben assecondate da due servitori, spalle perfette.

L’entrata in scena de “l’Ape Regina” di Highbury illumina come mai il gioco ambivalente tra sostanza e apparenza che la regista consapevolmente persegue. Due figure, quella del reverendo Elton (ancora più ridicolo, se possibile, del Mr Collins di Orgoglio e pregiudizio), e quella di Miss Bates, tanto garrula e massiccia da fare tenerezza, sono davvero notevoli e sottolineano la qualità – e direi anche il coraggio – nella scelta del casting. L’ipocondriaco padre di Emma è interpretato da un Bill Nighy al limite del dissacrante – e il pensiero non può che andare al fantastico rockettaro senza pudore di Love Actually – mentre la goffa Miss Bates è interpretata da Miranda Hart, attrice che abbiamo bene in mente come l’infermiera Camilla dal cuore d’oro di Call the Midwife.

Ambientazione, coreografie, costumi, arredi – come è stato ampiamente sottolineato – sono perfetti, al limite dell’ostentazione parodica del genere e sostanziano la qualità teatrale della sceneggiatura della giovane scrittrice neozelandese Eleanor Catton e il tocco di una regia che non si fa dimenticare in nessun momento. Fantastica – non c’è altra parola per definirla – la scelta della colonna sonora, curata da Rachel Portman: un impasto di Mozart e musiche tradizionali che, più che assecondare, fanno da contrappunto alla trama.

Diviso in 4 parti da “siparietti” che segnano la successione delle stagioni, il film (lungo 124 minuti) cambia di passo nella famosa scena del ballo, che fa da cerniera tra un prima e un dopo e innesca i cambiamenti dei principali personaggi: quasi una esemplificazione di quel “romanzo del divenire” che le studiose femministe hanno individuato nella tradizione a firma femminile del Bildungroman (v. Paola Bono e Laura Fortini, Iacobelli editore 2007) e che accredita l’interpretazione di Liliana Rampello sulla genialità di Jane Austen nei suoi Sei romanzi perfetti (il Saggiatore, 2014): l’amore (e solo di conseguenza un buon matrimonio) dipendono dalla capacità di cambiare nella relazione, imparando l’uno dall’altro. Di qui, mi pare, anche la scelta di dare assoluta centralità ai dialoghi, estremamente curati nel film di de Wilde, che sembra comprendere a pieno l’importanza della parola (e dei silenzi) per quel dialogo che consente di capire se stessi e gli altri (v. Alessandra Quattrocchi, La strategia del silenzio. Le ultime eroine di Jane Austen, Iacobelli editore 2017). Non a caso, tutto il rapporto non solo tra Emma e Mr Knightley, ma anche quello, in grande evidenza, tra Emma e Harriet si giocano sul detto e sul non detto – mentre è lo sfiorarsi dei corpi delle due amiche che ne fa una relazione autentica nonostante la dissimetria iniziale. La scena (non presente nel romanzo) in cui Emma si reca nella fattoria di Robert Martin – il corteggiatore prima respinto e poi accettato di Harriet – per chiedere scusa delle sue interferenze, non ha bisogno di parole per segnalare il suo cambiamento.

Alcuni/e hanno criticato la “antipatia” della Emma di Anya Taylor-Joy, ma a me pare che anche qui ci sia stata una scelta interpretativa pienamente austeniana: Emma non è e non deve essere perfetta né accattivante («piacerà solo a me», scrisse Jane in una lettera alla sorella Cassandra): il sangue che le cola dal naso mentre Mr Knightley si dichiara, non è certamente un dettaglio “romantico” ma ci dice non solo dell’approdo di Emma all’età adulta, ma anche del raggiungimento di una consapevolezza di sé che fa cadere false certezze e ogni pretesa di perfezione: il conflitto interno della nostra protagonista sul matrimonio e sulle regole sociali si manifesta, si scioglie, nel/attraverso il corpo. 

Un film teatrale, hanno sottolineato alcuni critici, ed è certamente vero anche se per fortuna di ritmo incalzante. Ma è anche un film che deve molto alla dimensione letteraria, non tanto e non solo perché tratto da un romanzo famosissimo e molto amato, ma perché di quel romanzo offre una interpretazione critica. Insomma, una gioia per gli occhi ma anche per la mente, che speriamo davvero di poter vedere, prima o poi, sul grande schermo.

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