
Leggendaria 169 | dicembre 2024 – gennaio 2025
La parola “woke” si è diffusa come un virus incontrollato in ambito sociale e politico ma non risulta sempre ben chiaro a tutte/i né cosa in realtà significhi né come da chi e perché viene utilizzata. Quel che è certo è che ormai richiama immediatamente, e trasversalmente, una retorica oppositiva, binaria, delegittimante dell’interlocutore.
Nata negli Usa dall’universo dei movimenti per denunciare, chiedere e rivendicare la fine delle discriminazioni, il rispetto delle differenze, l’inclusività di “minoranze” da sempre gravate di un “bias” spacciato come “naturale”, del woke si è rapidamente appropriato anche il fronte conservatore per ribadire le proprie posizioni tanto da essere risultato, di fatto, un fattore non secondario nella retorica tradizionalista della campagna elettorale di Donald Trump.
Una campagna esplicitamente anti-femminista, anti-LGBTQIA+, contro le politiche inclusive e, sullo sfondo, in generale e più sulla lunga distanza, anti-Welfare (istruzione e sanità): in tema di matrimonio, famiglia e genitorialità, di identità sessuali, di quote inclusive delle minoranze (ad esempio nei campus universitari) e così via.
In un rovesciamento che a tratti appare paradossale, il movimento woke è stato sempre più spesso accusato di essere “censorio”, di creare situazioni di contesto in cui bisogna stare attente/i a come si parla, quasi come se “non si potesse dire più niente”. Le legittime pretese di correttezza politica (politically correct) a volte sono apparse – non senza qualche ragione – espressioni di eccessiva rigidezza dogmatica …